Dopo la prima fase record della corsa al vaccino contro il Covid-19, la seconda fase, quella relativa alla produzione e distribuzione dei vaccini, sta invece facendo emergere tutte le difficoltà di reagire in tempi rapidi alla sfida pandemica. Alle limitate quantità previste dai contratti con il Governo italiano si è aggiunta l’interruzione della fornitura di quanto in essi concordato per asseriti problemi di produzione. Ciò genera un ritardo che riguarderà, nel migliore dei casi, almeno 7 milioni di potenziali vaccinati in Italia per fine marzo, impattando in modo decisivo sulla campagna vaccinale.
Rischiamo di soccombere in una corsa contro il tempo fra la limitata capacità organizzativa dal lato della produzione e l’elevata capacità del virus di diffondersi e mutare. Le compagnie farmaceutiche sono corse ai ripari avviando o convertendo impianti produttivi, ma di fronte all’eccesso di domanda, anche queste nuove iniziative si scontrano con i limiti della capacità produttiva.
Il Governo ha annunciato l’intenzione di procedere per vie legali contro i ritardi nelle consegne. Accanto alla strada dell’inadempimento contrattuale, tuttavia, ci si deve chiedere se non valga la pena lavorare anche su un percorso cooperativo che possa portare ad accordi simili a licenze, limitate al tempo dell’emergenza, per la produzione outsourced del vaccino (o meglio dei diversi vaccini disponibili), proprio in ragione dell’insuperabile eccesso di domanda su scala mondiale. L’annuncio di un accordo Sanofi-Pfizer-Biontech va proprio in questa direzione e prevede la produzione di circa 125 milioni di dosi. Esso costituisce una strada da seguire immediatamente per fronteggiare i problemi derivanti dalla riduzione delle dosi del vaccino di Astra-Zeneca dovuti al fatto che dei problemi di un impianto in Belgio limiterebbero la capacità di produzione della ditta anglo-svedese. Questa strada, come riportato da alcune testate che citano fonti UE, sarebbe persino indicata dal contratto: in caso di problemi degli impianti in Belgio gli accordi stipulati prevedrebbero che vadano utilizzate altre capacità produttive in Europa e nel Regno Unito.
Indipendentemente dai contratti finora stipulati (che sono ancora secretati) c’è da chiedersi se un eventuale rifiuto a fornire una licenza di produzione ad altre imprese sarebbe coerente con le leggi vigenti a tutela della concorrenza. Infatti, dato proprio l’eccesso di domanda tipico della pandemia, occorre considerare che, nell’ipotesi in cui una richiesta di produzione outsourced provenga da meri produttori che dimostrino di disporre dell’affidabilità e della capacità tecnica produttiva necessarie, come nel caso di Sanofi, un eventuale rifiuto a contrarre (cioè di concedere una licenza limitata) da parte delle aziende farmaceutiche potrebbe a quel punto aprire una riflessione nel campo tipico dell’antitrust. La tutela della proprietà intellettuale è, in generale, esente da interventi antitrust. Tuttavia, uno dei punti cardini nella tensione tra tutela della concorrenza europea e protezione della proprietà intellettuale ha riguardato spesso la possibilità che il licenziatario non potesse ‘spiazzare’ la potenziale domanda che si sarebbe altrimenti rivolta, al titolare del diritto di proprietà. Questo principio, ben noto nei casi Magill e IMS Health, può ben applicarsi al medesimo mercato rilevante del prodotto. Nello scenario pandemico, infatti, è evidente che data la limitata capacità produttiva, l’outsourcing produttivo servirebbe a soddisfare una domanda potenziale inevasa, tenendo conto, peraltro, degli impegni già assunti in sede contrattuale dai governi europei su prezzi e quantità.
Una cooperazione che faccia salvi i diritti e gli accordi contrattuali già in essere, ma che indaghi le ipotesi, anche in un quadro europeo, di outsourcing produttivo appare una strada percorribile data la necessità di dare un impulso straordinario alla produzione del vaccino e alla connessa efficacia delle politiche sanitarie adottate nel contrasto al virus. Naturalmente, oltre a questa strada immediatamente percorribile, resta da chiedersi come conciliare l’attuale sistema di protezione della proprietà intellettuale con la necessità di aumentare quanto prima la produzione in modo da riuscire a dare in tempi rapidi i benefici della vaccinazione anche ai paesi più poveri e a bloccare le pericolose mutazioni del virus.
Articolo di Antonio Nicita e Ugo Pagano apparso su IISole24Ore del 28/1/21
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