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Libertà promesse e libertà tradite. In Sicilia.

  • Antonio Nicita
  • 25 set
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 16 ott

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Il 26 settembre del 2022 la Sicilia si è svegliata con la vittoria del centrodestra. Non era diventata bellissima, nel frattempo, come prometteva Musumeci. "Miglioriamola insieme" prometteva Schifani. A voi il giudizio.

Il 26 settembre 1282, dopo i Vespri Siciliani, Carlo d’Angiò fu costretto a lasciare la Sicilia. Era il trionfo di un popolo che aveva gridato alla libertà, convinto di essersi liberato dai dominatori stranieri. Ma, come spesso accade nella storia siciliana, quella libertà durò poco: arrivarono nuovi padroni, nuovi interessi, nuove catene. La storia andava avanti, ma per il popolo siciliano cambiava ben poco.

Questa ciclicità tra illusione e rassegnazione la raccontano bene gli scrittori siciliani. Come quella scena struggente de Il Gattopardo che Visconti immagina nel valzer del Commiato tra futuro e passato, tra Angelica e il Principe di Salina. Tra la vita e la morte. Come fa Verga nella novella "Libertà", ambientata durante la rivolta di Bronte del 1860, proprio nei giorni della spedizione dei Mille che dovevano, di nuovo, liberare la Sicilia. A Bronte, i contadini, ingannati da parole altisonanti, si illusero che “libertà” significasse giustizia e pane per tutti: «ci avevano detto che c’era la libertà, e libertà pareva che dovesse essere come il pane caldo, che tutti ne potessero mangiare a volontà». Alla fine, la speranza si trasformò in sangue e repressione, perché «la libertà era finita, e tutto era tornato come prima».

La Sicilia campionessa di illusioni e maestra di rassegnazione: giovani-vecchi politici che compaiono sui social e ripropongono rivoluzioni mancate. Giovani che vanno via. Chi resta deve chiedere 'favori'. Chi governa usa il bisogno per il consenso e usa il consenso per creare il bisogno. Così è, se vi pare. Se ci pare. Se ci piace. «Oh, il Sud è stanco di trascinare morti in riva alle paludi di malaria, è stanco di solitudine, stanco di catene, è stanco nella sua bocca delle bestemmie di tutte le razze che hanno urlato morte con l'eco dei suoi pozzi, che hanno bevuto il sangue del suo cuore» scriveva Quasimodo. «Questo si può sollevare» faceva dire Vittorini al Gran Lombardo rivolto al piccolo siciliano. Inutilmente. Eppure, siamo sempre lì. Circondati dalle illusioni, rassegnati al peggio, complici del potere che ci toglie la libertà promessa e la promessa di libertà. Affarismo, trasformismo, opportunismo, clientelismo. Senza lavoro e senza futuro ma pieni di feste, di sagre, di spettacoli. Di processioni senza preghiere. Di preghiere senza miracoli. Di promesse per tutti ma di vittorie solo per pochi. Lotterie della speranza e della disperazione. Voto di scambio e scambio di voti. Ma senza libertà politica non ci può essere cambiamento. E senza libertà dal bisogno non c'è libertà politica: «ci avevano detto che c’era la libertà, e libertà pareva che dovesse essere come il pane caldo, che tutti ne potessero mangiare a volontà».

Ah, la bellissima e disgraziata Sicilia. Questo eterno valzer del Commiato.

 
 
 

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