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  • Antonio Nicita

Banda larga mobile in condivisione?

(Pubblicato su IlSole24Ore|nòva 25 ottobre 2015)

Il 2015 è stato l’anno in cui la Commissione europea ha definitivamente sancito la centralità dell’armonizzazione dell’allocazione delle bande di spettro nonché della simultaneità temporale dell’assegnazione delle frequenze per lo sviluppo del mercato unico digitale. La ragione è non solo quella di rafforzare la crescita del single market come territorio unico per cittadini e imprese ma anche quello di far dell’Europa una importante zona in concorrenza con quella americana e quella asiatica per lo sviluppo del 5G nella banda larga mobile. La crescita esponenziale di ‘fame da banda mobile’ dovuta all’esigenza di connessioni ad alta qualità in mobilità non potrà essere soddisfatta nei prossimi anni dal 4G né dallo spettro mediamente disponibile nei diversi paesi. Non si tratta soltanto, però, di capacità di spettro ma della modalità di utilizzarlo, comprimerlo, condividerlo. Infatti, la sfida dell’Internet of things rende necessarie forme di comunicazioni del tutto differenti da quelle che avvengono tra persone tanto in termini di capacità che in termini distribuzione geografica. Il 5G non è dunque l’evoluzione del 4G ma un punto di arrivo finale dell’evoluzione di un ecosistema delle comunicazioni mobili che avrà bisogno di moltissimo spettro da utilizzare per ogni forma possibile di connessione. Ne consegue che dovranno convivere in questo contesto, anche modelli giuridico-economici, contrattuali e organizzativi diversi in merito all’allocazione dello spettro. In particolare assume una rilevanza centrale il tema della condivisione delle risorse spettrali rispetto ai tradizionali usi esclusivi. Ciò può essere fatto attraverso due modelli, non alternativi, ma da adattare a contesti distinti in base alla dinamiche della domanda e dell’offerta nonché ai modelli di business. Il primo è la condivisione non licenziataria che si riferisce a porzioni di spettro non licenziatarie e da usare nella prospettiva dei ‘commons’, definendone al limite in via minima le allocazioni d’uso. Si tratta di un modello che garantisce la massima flessibilità e grande capacità di adattamento a nuovi usi, ma che si scontra con il limite dell’incertezza ex-ante circa la capacità effettivamente disponibile in una data area. Per tali ragione questo è un modello che può favorire forme di connessione wireless localizzate e non in mobilità, magari fortemente sostenute da finalità di accesso sociale aperto in determinate aree o per determinati usi. Il secondo è la condivisione licenziataria che si riferisce invece a porzioni di spettro usate in via esclusiva da più titolari ma in modo da non creare interferenze nello spazio o nel tempo. Si ottimizza cosi l’uso della risorsa sia dal punto di vista del suo uso geografico che della saturazione temporale. L’Italia ha avviato, tra i primi al mondo, una sperimentazione su questo modello per le bande 2.3-2.4 Ghz proprio per capire le modalità con le quali questo modello, fortemente spinto anche dalla Commissione europea per garantire nuove porzioni di spettro, potrà funzionare. Non vi è dubbio che la liberazione di spettro per potenziare la banda larga mobile e le modalità 5G non potrà venire soltanto da nuove risorse spettrali (tra le quali ovviamente la banda 700Mhz) ma anche dalle modalità con le quali miglioreremo l’efficienza e la performance delle bande di spettro esistenti. Forme di condivisione volontaria o regolamentata costituiscono allora i prossimi passi irrinunciabili delle nuove politiche dello spettro che accompagneranno il futuro sviluppo della banda mobile. E su questo tema l’Europa può giocarsi un ruolo da leader nell’arena mondiale.

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